PGA Intellectual Property Newsletter – Dicembre 2021

PGA Intellectual Property Newsletter – Dicembre 2021

by PGA

GIURISPRUDENZA


Cosa accade se il brevetto nazionale rivendica un ambito di protezione più ampio rispetto al brevetto europeo?

In una recente sentenza, il Tribunale di Roma ha fornito importanti chiarimenti in materia di rapporto tra brevetto europeo e relativa porzione italiana. Come noto, il brevetto europeo si ottiene a seguito di una procedura unificata che produce effetto in tutti gli Stati membri designati dal richiedente. Non si tratta, tuttavia, di un titolo unico bensì di un fascio di brevetti nazionali. In vari stati membri, affinché il brevetto europeo possa esplicare effetti, è necessario che lo stesso venga convalidato con il deposito di una traduzione delle rivendicazioni o di tutto il testo concesso a livello europeo. Tuttavia, la disarmonia tra l’iter europeo ed i passaggi nazionali costituisce una criticità. Non è, infatti, inusuale rilevare differenze tra l’ambito di tutela della porzione nazionale di un brevetto europeo rispetto a quella del brevetto registrato presso l’EPO (European Patent Office).
Accadeva, in particolare che la società T.T. S.r.l. agiva in giudizio contro S.S. GmbH per ottenere l’accertamento della non interferenza fra il proprio pannello per desolarizzazione “T-Coboard” ed il brevetto europeo n. 2004395 della convenuta. Inoltre, TT chiedeva al Giudice di accertare la nullità della porzione italiana del brevetto di SS, per carenza di novità. Il titolo nazionale, infatti, rivendicava un ambito di protezione più ampio rispetto a quello del brevetto europeo. Proprio tale più esteso ambito risultava già noto al pubblico al momento del deposito della domanda. Le relative rivendicazioni erano quindi prive di novità.
Il Tribunale, tuttavia, ha precisato come sarebbe sempre ammissibile la rettifica del titolo nazionalizzato, ai sensi dell’articolo 57 c.p.i., il quale contempla espressamente l’ipotesi di una possibile difformità con il testo depositato presso l’ufficio europeo dei brevetti.
Laddove, quindi, la norma prevede che “la traduzione in lingua italiana degli atti relativi alla domanda depositata o al brevetto europeo concesso è considerata facente fede nel territorio dello Stato, qualora conferisca una protezione meno estesa di quella conferita dal testo redatto nella lingua di procedura dell’Ufficio europeo dei brevetti”, non si delinea un’ipotesi di nullità della porzione italiana di brevetto contenente una rivendicazione più ampia della materia descritta, ma limita invece la prevalenza della traduzione del brevetto nazionale alla sola ipotesi in cui la rivendicazione diversa sia più restrittiva rispetto al brevetto europeo.


La Cassazione sul nome a dominio che violi un marchio registrato

La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata in materia di interferenza tra marchio e nome a dominio. Nel caso in esame, RTI S.p.A., in qualità di titolare del marchio registrato “NONSOLOMODA” conveniva in giudizio Computer Line S.r.l. ed il Sig. Riccardo Nicolò Riso. In particolare, RTI contestava la registrazione del dominio www.nonsolomoda.it, contenente un sito diretto a promuovere attività di sarto e vendita di telefonia. Il Tribunale di primo grado accoglieva l’azione legale di RTI, dichiarando che la registrazione del dominio www.nonsolomoda.it costituiva violazione del marchio registrato di RTI. Tuttavia, la Corte d’Appello ribaltava l’esito del giudizio.
Nel terzo grado di giudizio, la Cassazione revocava la sentenza d’appello. La Corte di Cassazione rilevava, infatti, come il marchio Nonsolomoda avesse acquistato rinomanza anche per effetto della nota, ed omonima, trasmissione diffusa a livello nazionale. Dette circostanze assumono rilievo a mente dell’art. 22 c.p.i. Tale norma, in particolare, vieta di adottare come domain name un segno eguale o simile all’altrui marchio se, a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività di impresa dei titolari di quei segni e i prodotti o servizi per i quali il marchio adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico. Il secondo comma dello stesso articolo precisa, poi, che tale divieto si estende all’adozione di un nome a dominio uguale o simile a un marchio registrato per i prodotti o servizi anche non affini, che goda nello Stato di rinomanza. Il tutto, laddove l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio, o reca pregiudizio agli stessi.


La forza del marchio patronimico

In una recente ordinanza, la Cassazione, chiamata a pronunciarsi su un caso di contraffazione, si è soffermata sulla tutela del marchio patrominico.
Il Sig. Camillo Zaccagnini, titolare dell’omonima impresa agricola, proponeva appello avverso la sentenza con cui il Tribunale di Roma, in accoglimento delle domande contro di lui spiegate da Azienda Agricola Ciccio Zaccagnini S.r.l. di Marcello Zaccagnini, aveva dichiarato la nullità dei marchi «Azienda Agricola Zaccagnini Le Tre Colline» e «Zaccagnini Camillo», inibito l’uso degli stessi segni, disposto il ritiro dal commercio dei prodotti recanti i marchi in contraffazione e condannato il predetto appellante al risarcimento dei danni in favore della società attrice. La Corte di appello di Roma, rigettava l’impugnazione. Camillo Zaccagnini ha quindi opposto in Cassazione la sentenza.
La Suprema Corte, con la decisione in esame (Cass. civ., sez. I, 16 settembre 2021, n. 25069), dopo un’approfondita analisi della tutela del marchio patronimico, ha rigettato il ricorso. In particolare, quanto alla legittimità dell’uso del patronimico Zaccagnini da parte del ricorrente, la Corte osserva quanto segue. L’art. 8, comma 2, c.p.i. precisa che la registrazione del marchio patronimico non impedisce a chi abbia diritto al nome di farne uso nella ditta prescelta, sempre che sussistano i presupposti dell’art. 21, comma 1, c.p.i.: questo dispone che i diritti di marchio d’impresa registrato non permettono al titolare di vietare ai terzi l’uso nell’attività economica, purché l’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale, del loro nome e indirizzo.
Ciò posto, la Corte ha accertato che l’utilizzo del patronimico Zaccagnini da parte del ricorrente dovesse ritenersi illecito, proprio in quanto attuato in violazione dei principi di correttezza professionale, determinando l’associazione dei marchi della ditta appellante a quelli della ben più nota società appellata.


Il Tribunale di Milano sulla concorrenza sleale per appropriazione di pregi e agganciamento

Il Tribunale di Milano, chiamato a pronunciarsi nel caso Wallmax vs Roxtec, ha confermato importanti principi di diritto in tema di concorrenza sleale. Nel caso in esame, Wallmax esponeva che Roxtec era titolare di un brevetto scaduto nel 2010 ed avente ad oggetto un modulo passacavi composto da una pluralità di strati sovrapposti (c.d. layers). Decorso il periodo di validità del titolo, Wallmax iniziava a produrre moduli passacavi di colore arancione e nero, effettivamente analoghi a quelli di Roxtec, per poi sostituirli con i diversi moduli c.d. multicolor. Wallmax chiedeva dunque al Tribunale di accertare che la propria condotta non potesse costituire concorrenza sleale ai danni della convenuta.
Secondo Roxtec, invece, Wallmax avrebbe posto in essere attività di concorrenza sleale per appropriazione di pregi, agganciamento e denigrazione in relazione ai prodotti e all’attività delle convenute; attività consistente nella presentazione dei propri prodotti in termini identici o equivalenti rispetto a quelli di Roxtec, in alcuni casi vantandone migliori caratteristiche.
Il Tribunale ha quindi ricordato che “si verte nell’ipotesi della concorrenza sleale c.d. per agganciamento sanzionabile ai sensi dell’art. 2598 n. 2 c.c. allorché l’impresa − anche in assenza di ogni aspetto confusorio − operi un richiamo o un accostamento dei propri prodotti a quelli di un più noto concorrente, al fine di approfittare della conoscenza di tali prodotti da parte del mercato e del credito di cui essi godono, con conseguente risparmio di spese pubblicitarie (Trib. Milano 16 maggio 2013).
Riguardo all’appropriazione di pregi, invece, la Cassazione ha affermato che “la concorrenza sleale per appropriazione dei pregi dei prodotti o dell’impresa altrui (art. 2598, n. 2, c.c.) non consiste nell’adozione, sia pur parassitaria, di tecniche materiali o procedimenti già usati da al-tra impresa (che può dar luogo, invece, alla concorrenza sleale per imitazione servile), ma ricorre quando un imprenditore, in forme pubblicitarie od equivalenti, attribuisce ai propri prodotti od alla propria impresa pregi, quali ad esempio medaglie, riconoscimenti, indicazioni di qualità, requisiti, virtù, da essi non posseduti, ma appartenenti a prodotti od all’impresa di un concorrente, in modo da perturbare la libera scelta dei consumatori” (ordinanza Cass. Sez. 6-1, 7 gennaio 2016, n. 100).
Il Tribunale ha tuttavia rilevato che nella comunicazione promozionale delle parti si rappresentano le caratteristiche dei prodotti, per di più tecniche, e si adottano generiche affermazioni inerenti alla semplicità di installazione. Elementi e circostanze che di per sé solo non rappresentano né una forma di agganciamento, né tanto meno di appropriazione dei pregi.


Caso Gucci: nella contraffazione di marchio notorio non assume rilevanza il rischio di confusione del consumatore

La Cassazione ha recentemente fornito alcuni chiarimenti in materia di contraffazione del marchio notorio. La sentenza in questione si sofferma, in particolar modo, sulla capacità del marchio contraffatto di ingenerare confusione nel consumatore.
Nel caso in esame, Gucci S.p.A. agiva contro un cittadino cinese per contraffazione del noto marchio di moda. Tuttavia, la Corte d’Appello rilevava l’assenza di un rischio di confusione tra i marchi in conflitto, sebbene gli stessi fossero assai simili. Proprio la notorietà del marchio Gucci, infatti, deporrebbe a favore dell’insussistenza di qualsivoglia rischio confusorio, sia per la fama in sé del marchio, sia perché il brand si rivolgerebbe ad un target particolarmente elevato, da considerarsi a minor rischio di confusione.
Non della stessa opinione la Corte di Cassazione, la quale ha chiarito che, ai fini della tutela del marchio notorio, la valutazione da porre in essere deve prescindere dalla sussistenza di un rischio di confusione fra segni. Al contrario, ciò che si deve indagare è (i) se il contraffattore abbia tratto indebito vantaggio dalla notorietà del segno anteriore, nonché (ii) il pregiudizio reputazionale arrecato al marchio contraffatto. In tale contesto assume fondamentale importanza l’esame del grado di similitudine tra i marchi, nel caso di specie molto alto.


NEWS E NOVITÀ NORMATIVE


ITA presenta le nuove livree, ma non c’è il marchio “Alitalia” appena acquistato

ITA Airways, società che prenderà il posto di Alitalia quale compagnia aerea di bandiera, ha acquistato il celebre marchio per la cifra di 90 milioni di Euro. Ciò che stupisce ed incuriosisce non è tuttavia il fatto in sé, bensì quanto annunciato dall’azienda nel corso della conferenza immediatamente successiva all’operazione. ITA ha infatti presentato pubblicamente la livrea scelta per i propri aerei sui quali, tuttavia, non vi sarebbe alcuna traccia del marchio “Alitalia”.
Si pone, tuttavia, un tema di non poca importanza: laddove ITA non dovesse utilizzare il marchio in questione per un periodo di 5 anni, questo potrà essere dichiarato decaduto, ai sensi dell’art. 24 c.p.i. Tale decadenza consentirebbe a chiunque di utilizzare il marchio della storica compagnia. In ogni caso, il responsabile marketing di ITA ha già dichiarato che “Il brand Alitalia è stato acquistato con lo scopo di gestire la transizione verso la nuova livrea e riservarsi il diritto di futuri utilizzi del marchio”. Bisognerà quindi capire se tali “futuri utilizzi” saranno sufficienti ad impedire la decadenza del marchio. Il tutto, considerando che un uso meramente promozionale potrebbe non essere sufficiente a mantenere il monopolio.


Decreto fiscale: in vista modifiche al credito di imposta R&D e patent box

Il Consiglio dei Ministri ha approvato la bozza del Decreto fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2022, che, tra le diverse novità previste, introduce modifiche rilevanti alla disciplina riguardante il credito d’imposta sulla ricerca e sviluppo e la misura agevolativa del Patent Box.
In attesa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del testo definitivo del Decreto fiscale, si evidenziano le seguenti disposizioni del provvedimento approvato.
Per il credito d’imposta sulla ricerca e sviluppo viene prevista la possibilità di “ravvedimento” in caso di indebito utilizzo in compensazione del credito d’imposta per investimenti in attività di ricerca e sviluppo maturato a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019, senza applicazione di sanzioni e interessi.
Con riferimento alla disciplina del Patent Box viene prevista la maggiorazione del 90% dei costi di ricerca e sviluppo sostenuti in relazione a software protetto da copyright, brevetti industriali, marchi d’impresa, disegni e modelli, nonché processi, formule e informazioni relativi a esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili, che siano utilizzati direttamente o indirettamente nello svolgimento dell’attività d’impresa.